Psicologia

“Il fiocchetto lilla”, testimonianza di un ex ragazzo anoressico

In occasione della giornata internazionale del fiocchetto lilla contro i disturbi alimentari, che si terrà il 15 marzo, vogliamo ricordare la battaglia che tutti i giorni molte persone devono affrontare per combattere l’anoressia e la bulimia. Vi riportiamo quindi la testimonianza di Andrea, un ragazzo che all’età di soli 10 anni ha dovuto affrontare una simile lotta. Lui ce l’ha fatta ed è pronto a raccontare la sua storia e a dare qualche consiglio alle persone che, come lui, stanno attraversando un periodo simile.

Come è iniziato questo periodo? È iniziato dalla separazione dei miei genitori. Tutto è diventato più difficile e a casa non mi sentivo più a mio agio, mi mancava la presenza di un padre.

I tuoi genitori si sono accorti subito di ciò che stavi passando? Il tutto è iniziato nell’estate di qualche anno fa. In quel periodo i miei genitori non sospettavano ancora nulla, verso l’inverno, con l’inizio delle festività, i miei si sono accorti che non mangiavo come prima e che inventavo anche delle scuse per evitare di sedermi a tavola con loro.

I tuoi genitori sono intervenuti subito per aiutarti? Sì, a differenza di alcuni genitori che magari sono poco informati e che non ritengono l’anoressia una questione seria, mia mamma ha subito preso provvedimenti. A mio padre inizialmente avevo pensato di non dirlo, forse perché lo ritenevo la causa di ciò che mi stava accadendo, ma quando ho fatto la prima visita è dovuto venire anche lui. Successivamente sono intervenuti anche gli psicologi ai quali dovevo raccontare tutto.

Gli psicologi e i dietologi sono riusciti ad aiutarti? La dietologa sì, perché mi spiegava l’alimentazione che dovevo seguire per riprendermi e riusciva a convincermi. La psicologa invece no perché non mi capiva.

Cosa ha comportato l’anoressia per te? Hai smesso di studiare? Hai tagliato i rapporti con i tuoi amici? No, ho continuato a studiare e il rapporto con gli amici è rimasto quello di sempre. L’unico cambiamento importante che ricordo è stato il rapporto in famiglia: i miei dovevano accompagnarmi dai dietologi e ciò ha procurato uno stress che non ha migliorato la situazione già presente in casa.

Che ruolo hanno avuto gli insegnanti? Era il periodo tra la 5 elementare e la prima media. I maestri delle elementari mi aiutavano e mi sostenevano perché erano a conoscenza di ciò che stavo passando, mentre con i professori delle medie è stato più difficile parlarne.

Come si comportavano i tuoi compagni? A scuola alcuni mi prendevano in giro perché ero magro. Parlavano male di me alle mie spalle perché non avevano il coraggio di dirmi ciò che pensavano in faccia.

Cosa ti senti di dire alle persone che ti prendevano in giro?
Dicevano che io ero debole, ma loro, con il loro comportamento, si sono mostrati anche più deboli di me.

Pensa di parlare con una persona che non ha mai sentito parlare di anoressia, come la descriveresti? Io l’ho vissuto come un periodo dove soffrivo perché guardandomi allo specchio mi vedevo gonfio e con la pancia. Volevo trovare il modo per togliere questo gonfiore e mangiando meno pensavo di riuscirci ma ciò non accadeva perché la mia mente si ostinava a vedere quella pancia. Quando dovevo mangiare, mandavo giù qualche boccone e dicevo di non avere più fame o che il cibo non mi piaceva. Ogni piatto mi sembrava enorme e alla sola vista mi si chiudeva lo stomaco. La definirei quindi una malattia psicologica.

Tu ritieni l’anoressia una forma di autolesionismo? Sì e no perché ci sono persone che lo fanno per farsi realmente del male, altre invece lo fanno per il semplice fatto di voler essere magri. Io, ad esempio, volevo attirare l’attenzione di mio padre facendomi del male.

Cosa pensi del fatto che l’anoressia viene associata più alle ragazze che ai ragazzi? Non saprei cosa dire al riguardo perché secondo me è indifferente essere maschi o femmine quando si tratta di malattie.

Fino a che punto si è spinta l’anoressia? Il mio peso minimo è stato di 18-19 chili all’età di 10 anni. Ero talmente sottopeso che mi si vedevano tutte le ossa. Sono dovuto andare spesso in ospedale ma fortunatamente non sono mai stato ricoverato e non mi hanno mai dovuto nutrire tramite una flebo.

Quali sono stati i fattori che ti hanno aiutato ad uscire dall’anoressia?
Sicuramente la mia famiglia è stata indispensabile ma anche guardare programmi legati all’alimentazione, dove persone molto magre rischiano di morire, è stato importante. È stato proprio quando ho scoperto che questa malattia porta alla morte che una lampadina di allarme si è accesa in me e mi ha spinto a guarire.

Quanto è durata la tua ripresa? È stata una cosa graduale, quindi ci sono voluti vari mesi.

Adesso, a distanza di qualche anno, cosa pensi di questo tuo periodo? Penso di essermi comportato da stupido. Ora rimpiango di non aver detto subito a mia mamma ciò che mi stava accadendo. Se lo avessi fatto forse sarebbe durato tutto di meno e la situazione in famiglia sarebbe potuta migliorare.

Che consiglio ti senti di dare alle persone che stanno attraversando un periodo come il tuo? Consiglio di avvisare subito qualcuno: un amico, un professore, i fratelli, i genitori o qualsiasi persona fidata. Consiglio inoltre di fare piccoli pasti ogni 2-3 ore. Alle persone che lo fanno solo per una questione di voler apparire e mettersi in mostra davanti ai proprio amici, dico di smetterla subito perché non c’è nulla di sano in tutto ciò. Io sono rimasto indietro con la crescita, sono più basso dei miei compagni e non mi sono ancora caduti tutti i denti da latte. Ogni volta che mi viene il mal di pancia ho paura di ricadere in quella situazione. Sono sensazioni brutte che non augurerei a nessuno.

 

Juliana Hoxha, I C

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