FIUMI CARSICI
Gli ultimi lumi di una cultura
“Davanti a un fiasco de vin
quel fiol de un can fa le feste,
perchè ‘l xe un can de Trieste,
e ghe piase el vin!”.
Il sole splende, caldo e delicato sul mare azzurro. Si respira tranquillità e felicità. Cantando allegramente costeggiamo il lungomare, lasciandoci alle spalle il castello di Duino e quello di Miramare.
Il bus procede lento, frenato sempre più dal traffico crescente, fino a che ci compare davanti, maestosa, piazza Unità d’Italia. E’ un caldo benvenuto di Trieste. I palazzi ai lati della piazza sembrano abbracciarci. È come se venissimo dal mare e, per un momento, penso a quale potesse essere la sorpresa dei viaggiatori, marinai e commercianti di un tempo, che, arrivati al Molo Audace, si trovavano davanti alla piazza più grande d’Europa in riva al mare.
Ci troviamo in una zona di confine. Appena fuori dalla città di Trieste si raggiunge la frontiera con la Slovenia. Siamo quindi in una situazione simile a quella nostra, dell’Alto Adige.
“Oltrepassare frontiere; anche amarle -in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto- ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue”[1] Referenza.
Questa è anche l’idea di Miran Košuta, ma parlando con lui e con la figlia del proprietario dell’osmiza Milič, ristorante tradizionale sloveno fuori città dove andiamo una sera a mangiare, scopro che a Trieste le persone bilingui sono poche, che scuole e università italiane e slovene sono separate. In città non tutti i cartelli sono tradotti in sloveno, come non lo sono tutte le targhe e tutte le iscrizioni.
Le due lingue sono considerate un ostacolo a Trieste. Invece di unire le due culture, le dividono: l’opposto di quello che succede in Alto Adige. “Perché devo sentirmi straniero a casa propria?”[2] Referenza. scrive Košuta, nato a Trieste, di madrelingua slovena. Ma gli sloveni non sono gli unici che dovrebbero sentirsi “stranieri”. Anche i triestini di madrelingua italiana hanno tutto da perdere, essendoci a Trieste da parte di entrambi i gruppi linguistici diffidenza nei confronti dell’altra cultura: come ci si può sentire a casa in un tale clima?
Ma gli sloveni, giustamente, sono intenzionati a non perdere la propria cultura, mantenendo vive le tradizioni di famiglia e narrando la propria storia e le proprie abitudini. “Narrare serve a trovare un allineamento nella percezione dei fatti ed è questa uniformità che mantiene saldo il tessuto di una comunità, che le permette di imbarcare diversità senza alienarsi da sé””[3] Referenza. Come i fiumi del Carso, la
cultura slovena riaffiora quando meno te lo aspetti, modificando la nostra percezione della vita triestina e della sua cultura.
Ma a Trieste non si respira solamente un’aria tesa. “C’è un edonismo antico, morale, nei triestini. (…) Un amore per la vita che veneti e udinesi considerano erroneamente come godereccio, solo perché non si confà agli standard della produzione e del profitto nordestini””[4] Referenza scrive Mauro Covacich. Trieste viene indicata come la Napoli del Nord: “Ha raggiunto raramente le pagine dei libri di storia e letteratura, ma è una città meridionale, la città più meridionale dell’Europa del Nord””[5] Referenza.
Guardando il mare, con i suoni della Barcolana alle mie spalle, ripenso al passato: a quando Svevo e Joyce passeggiavano sul lungomare discorrendo di psicoanalisi; e a Saba che, fumando la pipa, osservava la vita di Trieste al suo tempo. Non dimenticava assolutamente “prostituta e marinaio, il vecchio / che bestemmia, la femmina che bega, / il dragone che siede alla bottega / del friggitore, / la tumultuante giovane impazzita / d’amore””[6] Referenza.
Ma ripenso anche ai giorni passati in questa città. E’ come se Trieste fosse formata da strati: il primo strato è conosciuto da tutti, solo pochi invece conoscono gli strati sottostanti. Forse nemmeno i triestini. Parlando con una ragazza di Trieste lei mi chiede: “Ma cosa venite a fare a Trieste?”. I cittadini non sanno cosa e quanto può insegnare la loro città.
Oltre che sede di numerose e consigliate università, a Trieste si sono incrociate le vite di milioni di persone, che hanno influenzato, chi più e chi meno, la storia di questo luogo.
Risalendo sul bus respiro per un’ultima volta l’aria di mare e sono consapevole che i miei precedenti viaggi a Trieste sono stati una preparazione a questa visita, mentre questa visita certamente è stata una preparazione alla mia vita futura.
Bolzano, 24-26.10.2017
1 – Claudio Magris, L’infinito viaggiare, Milano, Mondadori, 2005, dalla Prefazione.
2 – Miran Košuta, da Trije ste, in “Lo straniero” n° 194/195 – Agosto/Settembre, 10/8/2016; http://lostraniero.net/trijeste/
3 – Miran Košuta, op. cit.
4 – Mauro Covacich, da Trieste sottosopra, Bari, Laterza, 2006.
5 – Mauro Covacich, op. cit.
6 – Umberto Saba, da Città vecchia, nella raccolta Trieste e una donna, in Il Canzoniere, Torino, Einaudi, 2014, pag. 81. Vedi anche in AAVV, Testi e storia della letteratura, vol. F, Torina, Paravia, 2011, pagg. 585-586.
Francesca Andriolli Classe V^ B